Skip to content
Home » Articoli » Procedimenti civili della violenza domestica e di genere

Procedimenti civili della violenza domestica e di genere

FENOMENO INVISIBILE

La violenza domestica e di genere è un fenomeno invisibile in molti procedimenti civili: lo dice il Parlamento e l’esperienza dei difensori delle vittime

Il fenomeno invisibile. Il lavoro della Commissione femminicidio della XVIII legislatura (Senato)

La violenza domestica e di genere è un fenomeno invisibile in molti procedimenti civili che riguardano la disgregazione della coppia genitoriale: separazioni, divorzi, affidamento e mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio e relative modifiche.

L’esperienza degli avvocati difensori delle vittime in questi procedimenti ha trovato autorevole conferma nell’inchiesta della Commissione sul femminicidio della XVIII legislatura di cui alla Relazione approvata all’unanimità il 20 aprile 2022. La Commissione, dopo un puntuale esame di significativa mole di procedimenti a cavallo tra 2017-2021 di Tribunali ordinari e di Tribunali per i minorenni, ha rilevato non solo indifferenza rispetto al fenomeno (trasversale e che riguarda tutte le fasce di popolazione, senza distinzioni di censo, collocazione geografica e area culturale di appartenenza) ma anche una massiva vittimizzazione secondaria di coloro che sono già state vittime di violenza all’interno delle mura domestiche.

La vittimizzazione secondaria

Per vittimizzazione secondaria si intende quel fenomeno per cui le vittime di violenza non solo non trovano protezione e tutela efficace e adeguata quando si rivolgono alle istituzioni, ma si vedono inflitte una serie di ulteriori violenze e sopraffazioni da parte delle istituzioni (sistema giudiziario ed altri operatori).

Quando vi sono allegazioni di violenza in un procedimento (ossia una parte afferma che l’altra è stata violenta) accertamenti e protezioni adeguate dovrebbero essere immediatamente attivati per evitare la vittimizzazione secondaria. Invece, a causa di stereotipi culturali, queste ultime subiscono spesso provvedimenti ed accertamenti che le umiliano ulteriormente. La violenza viene usualmente scambiata con conflitto e le norme, anche di provenienza sovranazionale, e quindi dotate di forza superiore alla legge interna (art. 117 Cost.), vengono di fatto molto spesso ignorate e non applicate.

Gli strumenti giuridici ignorati

La Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011, sottoscritta dall’Italia il e ratificata con l 77/2013, entrata in vigore il 2 luglio 2013, prevede difatti che: 1) non possa essere attivata la mediazione nei casi di violenza domestica e di genere; 2) degli agiti di violenza si debba tenere conto nelle decisioni su collocamento e affidamento dei figli.

Si tratta di disposizioni peraltro ragionevoli. 

La mediazione non funziona e diventa anzi una “trappola” se vi è disconoscimento della pari dignità di una parte, sopraffattiva, nei confronti dell’altra. Si deve tenere conto nell’affidamento e collocamento dei figli della violenza domestica e di genere agita da un genitore perché questi hanno spesso già sofferto di “violenza assistita” (e cioè sono stati testimoni di tali agiti violenti) e, inoltre, chi agisce violenza non è in grado di educare secondo le indicazioni dell’art. 29 della Convenzione sui diritti del fanciullo. Tale norma, tra i contenuti dell’educazione, prevede “il rispetto dell’altro genitore”. Chi non rispetta, insulta, denigra, sopraffà l’altro non è un buon genitore perché non è in grado di educare secondo quanto indica la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (rat. con l. 176/1991). Si tratta anche in questo caso di fonte subcostituzionale e quindi con una forza superiore alla legge interna. Ma la norma viene ignorata purtroppo nei procedimenti e provvedimenti giudiziari.

È evidente quindi che vi siano norme troppo spesso non applicate, anche se fornite di una forza normativa superiore alla legge interna. Infatti, nei nostri procedimenti civili, l’invito alla mediazione e i provvedimenti di affidamento condiviso sono la regola anche quando vi sono allegazioni di violenza. Con il risultato ulteriormente aberrante che le vittime di violenza che si oppongono all’affidamento condiviso e alla relazione dei figli vittime di violenza assistita con chi ha avuto agiti violenti, rischiano di essere considerate “madri malevole”.

Gli stereotipi di genere e le condanne all’Italia da parte di Strasburgo

La motivazione di tale disapplicazione risiede negli stereotipi di genere di cui è permeata la nostra cultura, che tollera la violenza all’interno delle mura domestiche come manifestazione di contrapposizione: questi i motivi per cui siamo stati condannati da Strasburgo.

L’Italia è stata infatti condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo più volte: non perché nel nostro strumentario giuridico difettino gli strumenti di protezione e di tutela delle vittime. Ma perché spesso stereotipi culturali ne impediscono congrua ed efficace utilizzazione agli operatori di giustizia: non viene così assicurata effettiva protezione alle vittime, ma di fatto impunità agli autori di violenza. In questa prospettiva convergono anche GREVIO e CEDAW.

Le sentenze della Corte di Strasburgo sono:

Talpis c. Italia, 3 marzo 2017, ricorso n. 41237/14

J.L. c. Italia, 27 maggio 2021, ricorso n. 5671/2016

Landi c. Italia, 7 aprile 2022, ricorso n. 10929/2019

De Giorgi c. Italia, 16 giugno 2022, ricorso 23735/2019

Scavone c. Italia, 7 luglio 2022, ricorso 32715/2019

I.M e altri c. Italia, 10 novembre 2022, n. 5426/2020

Gli stereotipi culturali ostacolo alla giustizia

Il monito che viene da queste sentenze è che nel nostro Paese gli operatori (avvocati, giudici, operatori sociali, Consulenti Tecnici) non sembra che abbiano imparato a distinguere tra violenza e conflitto: nella prima non vi è simmetria tra le parti ma annichilimento di una (la vittima) da parte dell’altra (autore di violenza con agiti più vari umiliazioni psicologiche, isolamento sociale e relazionale, persecuzioni giudiziarie, deprivazione di strumenti economici, violenza fisica che si accompagna a tali altri vari comportamenti). Nel conflitto vi è invece simmetria.

Di tale problema della inadeguatezza dei procedimenti civili con allegazioni di violenza si è fatta carico la Riforma Cartabia (l. 206/2021 e d.lgs. 149/2022) che ha inserito norme ad hoc, modificato gli ordini di protezione, oltre ad aver previsto tra i requisiti di ingresso nell’albo dei CTU la comprovata esperienza professionale in ambito di violenza domestica e di genere. Di questo argomento si è trattato nel congresso AIPG tenutosi all’Università di Chieti i giorni 4 e 5 novembre 2022: “Conflitto o violenza? La valutazione delle famiglie disfunzionali”.

Questo articolo è stato redato dall’Avvocato Maria Giovanna Ruo