Sentenza P. P. c. Italia, 13.02.2025. La Corte EDU nuovamente condanna l’Italia per violazione dell’art. 3 CEDU (divieto di trattamenti inumani e degradanti) in un caso di violenza di genere.
Contesto
La Ricorrente ha denunciato violenze fisiche, atti persecutori e molestie subite dal 2007 al 2009 dall’ex compagno A.B., criticando l’inefficacia e la lentezza delle indagini. Nonostante la gravità dei fatti, i reati sono stati dichiarati estinti per prescrizione. Nel 2024, la Corte d’Appello di Firenze ha riconosciuto alla ricorrente un risarcimento di oltre 268.000 EUR per danni psicologici ed economici, ma questa sentenza non è ancora definitiva.
L’Italia è stata condannata dalla Corte EDU ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione per violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti, per non aver condotto indagini efficaci e veloci sulla violenza domestica e di genere. L’inerzia delle autorità giudiziarie ha garantito impunità all’autore delle violenze, in contrasto con i requisiti della Convenzione.
Fatti. Procedimenti e motivazioni delle Corti interne
La ricorrente ha formalizzato la denuncia nel dicembre 2009, corredandola di prove documentali e testimoni ove deduceva che A.B. sorvegliava i suoi spostamenti, la seguiva in auto, perquisiva il suo telefono, controllava la sua biancheria intima, la sminuiva, la insultava, la allontanava dalla sua famiglia e la minacciava, e definiva tale comportamento come ricerca di controllo e coercizione. Dalle indagini, sono in particolare risultati accertati tre episodi perpetrati dall’ex compagno: un’aggressione avvenuta nel marzo 2008 durante un giro in bicicletta; l’esser stata afferrata per il collo e coartata a salire in macchina nell’ottobre dello stesso anno; il tentativo di sottrarle il cellulare nel novembre 2008 durante una conferenza. Dopo lente indagini, fu disposto il rinvio a giudizio nel 2013. Tuttavia, nel 2016 il Tribunale di Pisa ha assolto A.B. affermando che la relazione tra lo stesso e la ricorrente fosse “tossica e tormentata” e concludendo che l’ex compagno non era consapevole di causare alla parte lesa un disagio psichico e morale. Nel 2017, la Corte d’Appello ha dichiarato prescritti i reati precedenti al febbraio 2009 – ossia dell’entrata in vigore del reato di atti persecutori – e dichiarò estinti quelli successivi. Ad ogni modo, la Corte d’Appello condannò al risarcimento del danno A.B. rinviando al Tribunale Civile per la determinazione della somma dovuta. A seguito di ricorso in Cassazione, la Suprema Corte ha confermato la prescrizione dei reati, annullando parte della sentenza per vizio di motivazione nella parte relativa alla responsabilità di A.B. e rinviando al giudice civile. Nel 2024, la Corte d’Appello civile di Firenze ha condannato A.B. a risarcire la ricorrente Euro 268.000,00.
Motivazioni della Corte EDU e condanna all’Italia
La Corte EDU ha esaminato le violazioni degli obblighi procedurali dell’articolo 3 della Convenzione, relativo al divieto di trattamenti inumani o degradanti. Essa ha ritenuto che un’azione civile, pur portando al risarcimento, non soddisfa l’obbligo procedurale di indagare sugli atti di violenza domestica e di genere. La Corte ha ribadito i principi generali sull’applicabilità dell’articolo 3, riconoscendo che le violenze fisiche e psicologiche subite dalla ricorrente, incluse minacce e timori di nuove aggressioni, costituiscono una forma grave di violenza domestica.
Sottolineando la necessità di un’azione efficace, la Corte ha dichiarato che gli Stati hanno l’obbligo positivo di reprimere la violenza domestica e garantire procedimenti rapidi e diligenti. Ha rilevato che le autorità italiane hanno agito con passività e ritardi incompatibili con i requisiti della Convenzione, permettendo l’impunità dell’autore dei reati. Sebbene vi sia stato un risarcimento alla ricorrente, ciò non è sufficiente per una protezione efficace contro i maltrattamenti. Lo Stato avrebbe dovuto garantire una giustizia tempestiva e indagini adeguate. Difatti, “spetta allo Stato gestire il proprio sistema giudiziario in modo tale da permettere ai propri tribunali di rispondere alle esigenze della Convenzione, in particolare quelle relative agli obblighi derivanti dall’articolo 3 della Convenzione. Essa osserva con preoccupazione le conseguenze combinate delle particolarità del sistema italiano in materia di prescrizione e dei ritardi nei procedimenti […] tali fattori comportano la prescrizione di un numero importante di cause anche in ambito di violenza domestica, ad esempio i maltrattamenti, gli atti persecutori e le violenze sessuali”
In conclusione, la Corte EDU ha ritenuto che le autorità italiane abbiano violato l’articolo 3 condannando l’Italia al pagamento di 10.000 EUR per danni morali, oltre agli eventuali importi fiscali e interessi.
Questo articolo è stato redato dall’Avvocato Avv. Maria Giovanna Ruo